Gente in cammino di Malika Mokeddem

"Gli chiederò anche di vegliare sui nostri figli: che non conoscano mai il peggiore dei mali, l'intolleranza, quella vita che si priva della ricchezza degli orizzonti e che si considera l'unico sentiero tra mille."
Davvero un bel libro che sorprende ad ogni pagina perché non è un reportage, né un romanzo storico o sociale, non è una poesia, né un racconto metaforico, è tutto questo insieme.
"Era lì, contro quell'affetto straniero inzuppato dei sentori della sua gente, che scopriva che i cuori nobili, in barba alle barriere castranti delle razze, delle confessioni e delle nazionalità, intessevano ovunque i loro legami di amore; proclamando così le loro aspirazioni alla più suprema delle libertà. Perché, al di là della famiglia, del clan e del paese, rivendicavano l'appartenenza alla grande umanità delle intelligenze liberate da ogni catena."
L'autrice, Malika Mokeddem, che spero di rileggere presto, è veramente brava a collezionare
metafore evocative che trasportano nel deserto e nella vita di questa famiglia algerina, dai tempi del nomadismo fino alla guerra di indipendenza dalla Francia e alla nipote Leyla, un personaggio meraviglioso, che è in parte autobiografico.
"[del fratellino]: una larva che metteva in subbuglio tutti gli abitanti della casa soltanto perché nel basso ventre gli pendeva un minuscolo pezzetto di carne che faceva pena, tanto era spiegazzato."
Vi confesso che in certe parti del romanzo mi sembrava di vedere la migliore (e rara) Mazzantini, che l'autrice italiana si sia ispirata a Malika Mokeddem?
"La notte, partorendo la luna, spandeva sulla terra un dolce, argenteo chiarore che cancellava dagli occhi le ferite e le collere del giorno."
In questo romanzo si affrontano temi a me cari che non mi stanco mai di leggere e pensare.
"Piccolo bougnoul, lavora con le mani, non con la tesa. Le teste che lavorano troppo diventano pesanti da portare, si ingrossano e attirano l'attenzione. Allora, le si tagliano...Un piccolo mestiere a misura della piccola gente, giusto per mangiare un po' senza togliersi del tutto la fame, per non dimenticare il rispetto verso i grandi..."
Non è un testo veloce e di facile lettura, anzi, credo che per apprezzarlo ci voglia lentezza, calma e concentrazione, bisogna lasciarsi trascinare nelle immagini che Malika Mokeddem ci vuole regalare.
Non è semplice nemmeno per la storia dell'Algeria che quest'opera non può raccontare nel dettaglio e quindi risulta a volte difficile capire i riferimenti.
"Il vampiro della religione, che si nutre di tutte le miserie, aveva colto l'Algeria all'uscita dalla guerra quando ancora il paese non era riuscito a irrobustirsi dopo la lunga febbre francese."
Ma è complicato anche per la storia di coraggio, testardaggine e determinazione di Leyla, che con l'aiuto dello zio e della nonna, e la comprensione della madre e del padre, riesce a studiare, ad affrancarsi da certe barbare tradizioni ma sempre con una fatica e una sofferenza che per noi è davvero incomprensibile.
Quanto devono soffrire le donne del mondo?

Titolo originale: Les hommes qui marchent (1990) traduzione di Claudia Maria Tresso


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