Il Cardellino di Donna Tartt (alcuni spoiler)


Sempre per colpa di Amsterdam mi ritrovo a leggere questo corposo romanzo. Sono restia ad iniziare libri così lunghi, 890 pagine, ma Il Cardellino di Donna Tartt mi chiamava da parecchi mesi...L'autrice vince il Premio Pulitzer, viene osannata da pubblico e critica...E quindi quando scopro che parte della storia è ambientata ad Amsterdam e parte a New York decido che è il momento giusto anche per me!

Dopo un anno in cui ho letto veramente poco ho voluto regalarmi il periodo delle vacanze natalizie per riprendere una delle "attività" che più amo...E fortunatamente mi sono capitati romanzi davvero piacevoli, interessanti e stimolanti.

Il Cardellino non è un romanzo perfetto ma si lascia leggere molto volentieri. Lo stile è quello che io, nella mia semplicità, chiamo "cinematografico" perché sembra pronto e confezionato per diventare un bel film. (Per la cronaca è già in produzione...) Credo che moltissimi autori americani abbiano questo stile. Le descrizioni precise ti fanno sentire parte della storia, proprio come dietro una camera di ripresa.
A raccontare è il protagonista, Theo, in prima persona. E questa è secondo me la parte più stonata del romanzo perché l'autrice fa parlare un ragazzino di tredici anni come una donna adulta. Theo nota particolari, soprattutto del trucco e dell'abbigliamento delle persone in modo davvero troppo particolareggiato per un ragazzino della sua età. Ma lo stesso vale per tutto il resto. Diciamo che è un narratore quasi onnisciente nei panni di un ragazzino.
Non è uno di quei testi che continui a sottolineare o a rileggere, ci sono alcune parti più riflessive e molte parti descrittive ma la lettura procede veloce perché la trama è abbastanza accattivante, perché si ha a cuore la sorte di Theo e degli altri personaggi.

La madre di Theo è adorabile, la madre che tutti vorremmo avere, oltre che appassionata d'arte...È davvero un peccato che debba morire per dare vita a questo romanzo. Si chiamava Audrey.

Farfalla bianca e frutti rossi di Adriaen Coorte
Questo guardo ispira alla madre di Theo
le parole della citazioni.
“I pittori olandesi erano maestri nel lavorare su questo confine… la maturazione che scivola nella decomposizione. Il frutto è perfetto ma non durerà, è già sul punto di deperire.”
<< Ogni volta che vedi una mosca o un insetto in una natura morta - un petalo sfiorito, la lieve ammaccatura di una mela -, l'artista ti sta inviando un messaggio in codice. Ti sta dicendo che le cose vive non durano...che tutto è effimero. Può essere che all'inizio, dento tutta questa bellezza, questo rigoglio, tu non riesca a scorgere l'impercettibile traccia di marcescenza. Ma se guardi attentamente...la troverai. >>




“Io la seguivo, quasi stordito dalla sensazione di tempo sospeso, deliziato dall’intensità del suo rapimento, da quanto ignara sembrasse dei minuti che passavano.”


Lezioni di Anatomia
La madre si allontana dal figlio per dedicare ancora qualche minuto all'ammirazione di questo quadro di Rembrandt

La parte del trasferimento a Las Vegas con il padre e la fidanzata di lui, l'amicizia con Boris, messo peggio di Theo, l'alcol, la droga, l'abbandono in cui vivevano...Questa parte è stata pesante, emotivamente intendo, perché mi ha portato ancora una volta a pensare: ma quanto schifo fa questa vita per qualcuno? Per tantissimi qualcuno? Perché?


“Perché pensi sempre di saperne più degli altri? Che fottutissimo problema ha questo Paese? Come ha fatto una nazione così stupida a diventare tanto ricca e arrogante? Americani… star del cinema… personaggi TV… chiamano i loro figli Apple e Blanket e Bear e Bastard o… tutte minchiate!»

«E quindi tu sostieni che…?»

 «Io sostengo che, tipo, la democrazia è la scusa per tutto, cazzo. Violenza… avidità… stupidità… va tutto bene, se lo fanno gli americani. Giusto? Ho ragione?»”

Mi piace quando leggo un libro e vado a scoprire la musica che ascoltano, i libri che leggono, i posti in cui vivono...
“Presi il mio iPod, in cerca di musica chiassosa ma non troppo inquietante (scelsi la Quarta di Šostakovič, che, sebbene fosse classica, in effetti un po’ inquietante lo era)”



Chi ama l'antiquariato troverà descrizioni minuziose sul restauro, sui legni, sulle cere...

«Ricorda sempre che la persona per cui stiamo lavorando in realtà è colui che restaurerà questo pezzo fra cent’anni. È lui che dobbiamo lasciare a bocca aperta.»

Confesso che quando è morto il padre di Theo ho tirato un sospiro di sollievo e quando ha immediatamente deciso di scappare ed è arrivato tra le braccia di Hobie ho avuto una sensazione di speranza...Ma mancavano ancora troppe pagine alla fine del romanzo...
Infatti succedono ancora molte disgrazie. E Theo non riesce a vivere bene, non riesce a non drogarsi, a non lasciarsi vivere, a non "fregare" in qualche modo gli altri.
È un ragazzo infelice, e come dargli torto, ma quello che non riuscirò mai a capire, e che spero di non capire mai, è perché è più semplice lasciarsi trascinare verso il basso quando si hanno problemi che attaccarsi alle mani che vogliono, sebbene timidamente, tirarti fuori dal pantano...

"non c'era alcuna libertà nel modo in cui si era sempre rifiutato di crescere"

Confesso che le parti su droga e alcol mi sono risultate davvero insopportabili, ci sono tantissime descrizioni in merito, particolareggiate con gli effetti del prima, durante e dopo...Aiuto!!!

Il finale non è così eclatante ma, anche lui, esageratamente cinematografico! Ma le ultime pagine rispondo a tante domande che anche io mi sono posta, o meglio, pongono le mie stesse domande a cui forse non c'è risposta.


“Cosa succede se ti ritrovi con un cuore inaffidabile? Se questo cuore, per ragioni imperscrutabili, ti porta ostinatamente, avvolto in una nube di indicibile fulgore, lontano da tutto ciò che è sano, dal conforto dei piaceri domestici, dal senso civico e dai legami sociali e da tutte quelle che vengono comunemente considerate virtù per trascinarti invece verso uno stupendo falò di rovina, immolazione e disastro?”

E quello di Theo, dell'autrice, è un po' anche il mio pensiero:

“Perché non m’interessa quello che dice la gente, quanto spesso lo dice né con quanto entusiasmo: nessuno mi convincerà mai che la vita è una sorpresa stupenda e appagante. Perché questa è la verità: la vita è una catastrofe. Il fatto fondamentale dell’esistenza – il nostro vagare in cerca di cibo, o di veri amici o di qualunque altra cosa – è una catastrofe.”

Ma questo non significa dover vivere male, lasciarsi andare, cercare la morte...C'è un modo per reagire a questa catastrofe:

“e tuttavia riconoscere che nonostante questo, per quanto crudelmente truccata sia la partita, è possibile giocarsela con una specie di gioia?”


Ed infine lui, che accompagna con la sua discreta presenza tutto il romanzo e amplifica tutti i sentimenti di ansia e angoscia di Theo, rivela una certa sua inettitudine che vorresti prenderlo a sberle per farlo smuovere. 
Il Cardellino di Carel Fabritius dipinto nel 1654, anno in cui il pittore muore, uno dei pochi sopravvissuti e molto diverso dagli altri realizzati da Fabritius.

“I suoi tratti parlano da soli. Ali sinuose; penne graffiate. Si percepisce la rapidità del pennello, la sicurezza della sua mano, spessi strati di colore. E tuttavia ci sono anche passaggi semitrasparenti, resi così amorevolmente accanto alle pennellate dense e pastose, che dal contrasto emerge una specie di tenerezza, e anche senso dell’umorismo; sotto i peli del pennello s’intravede un altro strato di pittura; vuole farci sentire la soffice lanugine sul petto, la sua morbidezza e consistenza, la fragilità dei minuscoli artigli aggrappati al trespolo d’ottone.”

Il dipinto è conservato a L'Aja (Den Haag) nel rinnovato museo Mauritshuis

“È il luogo in cui la realtà va a cozzare con l’ideale, in cui uno scherzo diventa serio e tutto ciò che è serio diventa uno scherzo. Il punto magico in cui ogni idea e il suo opposto sono ugualmente veri.”




Titolo originale: The Goldfinch (2013), Traduzione di Mirko Zilahi de' Gyurgyokai (2014, Rizzoli)


E di Amsterdam? Poche pagine ma alcune descrizioni in attesa dei miei scatti:


“Camminammo lungo stradine anguste, vialetti umidi troppo stretti per le macchine, nebbiosi piccoli negozi color ocra pieni di vecchie stampe e porcellane polverose. Passerella sul canale: acqua marrone, solitaria anatra marrone. Tazze di plastica semisommerse che facevano su e giù. Il vento era forte e umido e soffiava spilli di nevischio e lo spazio attorno a noi sembrava chiuso e fradicio. I canali non ghiacciavano in inverno? chiesi.”


“i paesaggi oscuri e le sciabordanti acque salmastre, i cieli bassi e gli antichi edifici tutti addossati gli uni agli altri in un’atmosfera volubile, poetica, da rovina imminente, la solitudine acciottolata di una città che sembrava – almeno, a me – il posto adatto per lasciare che l’acqua si chiudesse sulla tua testa.”


“in effetti l’intera città, nebbiosa, amichevole e colta, coi suoi fiorai e i forni e gli antiquari, mi ricordava Hobie; non solo per la ricchezza e l’abbondanza di oggetti d’epoca, ma anche perché c’era nell’aria qualcosa di sano, alla Hobie, come essere in un libro illustrato con bottegai in grembiule che spazzavano i pavimenti e gatti tigrati appisolati dietro finestre piene di sole.”

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